Non ne uscirò da solo

Con Ryan Bingham in cuffia

Giornate così capitano sempre più spesso. Ogni volta si aggiunge qualcosa. L’entusiasmo che dovrei mettere nelle cose di tutti i giorni è incostante, troppo incostante. È sempre più noioso viverci. Non c’è mai un periodo piatto ma solo giorni, oppure ore, o attimi fino alla prossima distrazione. Non penso più di riuscire a risolverlo con il lavoro. Finora l’ho sfidato, ho provato a far finta di niente, a nascondermi perché tanto poi passa, poi qualcos’altro lo copre, ma adesso è difficile togliermi dalla testa l’idea che tanto tornerà, che quello che ti godi è solo passeggero. Il lavoro va benino. Ci sono ancora aziende che me lo offrono, ci sono tanti che mi cercano. Ho dei prodotti in arrivo e tutti che si meritano del tempo. Scelgo di fare il meno possibile per coltivare altro, ma ormai so che questo altro non mi sarà tanto di aiuto. Non riesco a trovare cosa mi soddisfa, qualcosa che mi faccia stare bene per più di 30 minuti. L’umore positivo arriva in contesti particolari e di sicuro non è per caso; ma non riesco a capire quando e come arrivarci. Inizio a demoralizzarmi. So che ogni slancio, ogni prospettiva passerà, e non so perché tutto, alla fine, mi si svuota davanti. A questa età inizio a credere di non poterne uscire da solo.

Tutto mi annoia. Vivo di brevi momenti e poi ore di inquietudine. In giornate come questa penso a cosa realmente so fare. Non sono un regista, non sono uno scrittore, non sono un grafico, non sono un programmatore, non sono un manager, non sono un influencer, non sono un artigiano, non sono padre, non ho più l’età per essere uno sportivo sul serio. Cerco di godermi quel che ho ma è uno sforzo. Cerco di ricordarmi i momenti buoni, sono convinto che va tutto bene, che non c’è niente di storto, niente di serio, che la famiglia sta bene, il lavoro è a posto, vivo in una bella casa, ho attorno oggetti che mi piacciono, ho la possibilità di andare dove mi va, ho un fisico allenato per correre come e quanto voglio. Sono fortunato. Devo sentirmi a posto. Eppure non ne va mai bene una. C’è sempre insoddisfazione. Sto bene quando sono spinto da altro, quando non faccio affidamento su di me, quando io non c’entro. Dopo la corsa, dopo una grossa dose di tè matcha, dopo aver ricevuto un pacco atteso e per le ore subito dopo, o quando sono davvero in mezzo alla natura, soprattutto se solo, da non poter pensare ad altro; quando leggo e trovo un passo che mi rappresenta, che la pensa come me, che mi dà conforto. Sarà mancanza di autostima? Sarà che devo sempre cercare e dimostrare e mai accettare di essere uno insieme agli altri, niente di particolare - e perché dovrei esserlo? È un problema di realizzazione? Mi sto solo lagnando? Sono più bravo a immaginare le cose che a farle. Sono bravo a prepararle, portarle fino al momento del lancio e magari dare la prima spinta. Non sono bravo a completare, a sviluppare, a tirar fuori qualcosa, a prevedere, a programmare. Sono bravo a fare le bozze. Non è questione d’ansia perché sto bene sotto stress; ho i battiti bassi, sono un tipo calmo, noto dettagli che tutti ignorano, mi sorprendo di cose che vedo solo io e quando lo scopro ho un poco di empatia, triste o euforica che sia.

Stamani non pioveva quando sono uscito ma era tutto bagnato e nebbioso. Oggi ho perso metà giornata per incastrare due pezzi di legno, e non ho neanche piacere a scriverlo perché mi è rimasta una scheggia sotto l’unghia dell’indice sinistro.

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Il Progetto Manta
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Noi non siamo da meno